Quando si inizia l’impegnativo compito di catechista non sempre si può avere una visione chiara di ciò che è meglio fare e di come sia più efficace un metodo piuttosto che un altro. Sarebbe quasi inutile avere un “pacchetto” già pronto perché molto dipende dal gruppo che ti sarà affidato. In particolare, questo vale per il catechismo ai bambini. Nell’arco degli anni in cui si fa insieme questo cammino, i bambini crescono e diventano “grandi” e subiscono dei cambiamenti a volte repentini e a volte quasi impercettibili, ma sempre bisognosi di un “adattamento” del nostro atteggiamento. Cosa accade se non ci accorgiamo di questi cambiamenti? A volte può succedere che alcuni non si sentano compresi nelle loro esigenze e smettano di “ascoltare” ciò che cerchiamo di comunicare. Sono presenti ma non collaborano, e anche a catechismo, si sentono come imbuti da riempire, e non come persone con storie diverse e con tanto bisogno di essere ascoltati. A noi spetta il compito di fargli capire quanto ci interessa la loro vita, perché solo se ascolteranno il racconto della fede interpretandolo nella propria esperienza, sapranno farne tesoro. In poche parole dobbiamo “accoglierli”, far affiorare le domande, aiutarli a esprimere i malesseri, a dare nome alle paure e prendere coscienza delle proprie debolezze. Ma anche aiutarli a percepire i loro desideri senza confonderli con quanto propone loro la pubblicità. Chi, a parte la famiglia, gli insegna a desiderare ciò che è bene, ciò che è giusto, ciò che è bello? Noi siamo chiamati a sostenere le famiglie in questo importante compito. Purtroppo non sempre ci riusciamo, anche noi presi dalle mille cose da fare abbiamo poco tempo per prepararci e arriviamo all’incontro con la paura di non riuscire a svolgere “il programma”. Questa fretta toglie serenità e la mancanza di serenità rallenta la nostra capacità di ascolto. Più di una volta ho dovuto chiedere scusa ai ragazzi per essere stata poco paziente e aver alzato la voce a sproposito. Quando invece sono riuscita a cogliere una difficoltà, un bisogno dei ragazzi, e sono riuscita a dare il mio contributo ho sentito dentro di me una forza nuova. Quella forza che nasce dentro di noi quando siamo consapevoli di aver risposto nel modo giusto alla chiamata del Signore. Non siamo catechisti solo per “insegnare la Dottrina”, ma per dare un contributo alle famiglie nell’educazione alla fede. L’evangelizzazione è educazione alla fede come educazione della persona nella sua interezza. In particolare nell’iniziazione cristiana si contribuisce alla crescita globale e allo sviluppo del personale progetto di vita di ogni singolo ragazzo. Grazie quindi alle famiglie, in particolare alle mamme, che ci sono vicine in questo compito. La loro amicizia sincera, la fiducia che ci danno è il nostro carburante senza cui non potremo andare avanti. Paola
L'angolo del catechista
Dicembre 2009