Martedì 18 ottobre, in occasione della festa liturgica di San Luca, abbiamo vissuto una Veglia Comunitaria, con il suggestivo rito del Mandato agli operatori pastorali: un momento importante per ritrovarsi come comunità davanti al nostro santo patrono, per affidargli il nostro lavoro e le nostre energie in vista dell’anno pastorale che si sta per aprire. Ha celebrato questo evento così importante il nostro Arcivescovo, mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della CEI, che durante la Veglia ci ha voluto lasciare qualche parola di commento sul brano che abbiamo ascoltato insieme. Al termine della celebrazione ci siamo poi soffermati tutti insieme per un semplice momento conviviale preparato in oratorio. Il commento del Vescovo al Vangelo è di seguito riportato. Leggo “Riflessione del Vescovo”; quindi mi tocca parlare, stare con voi oggi, e come tante altre volte sedermi per ascoltare, per meditare. L’occasione è davvero bella per dire qualcosa che abbia a che fare certamente col Vangelo, ma soprattutto con la vita, perché una delle più grandi scoperte che ci attrae all’inizio e ci sorprende sempre è che parlare di Dio, di Gesù suo Figlio, della Chiesa, parlare della Parola, significa parlare di noi, scoprire la verità della nostra vita, guardare in profondità chi siamo e a cosa siamo chiamati. Non è possibile essere operatori di pastorale senza recepire questa coincidenza. Santa Chiara alla sorella Agnese diceva che fissare lo sguardo su Gesù è come fissare lo sguardo su uno specchio, che ci restituisce non un volto apparente, un volto costruito - come spesso accade con le maschere, con le quali contempliamo gli altri secondo una certa nostra visione parziale - ma bensì la verità di noi stessi, e la verità di noi stessi come in uno specchio può restituire solo il volto di Cristo. Per cui amare Lui, cercarLo, significa cercare noi stessi e amare noi stessi. Com’è possibile amare la vita se non la amiamo in Colui che la chiama? Allora, certo, ascoltiamo la Parola di Dio per ascoltare noi stessi. Allora fissiamo lo sguardo sul volto di Cristo, cercando di vedere dentro il suo volto la verità di noi stessi. Questa è l’operazione fondamentale, senza cui non è possibile educare nessuno, senza cui non è possibile costruire. Il Vangelo è davvero straordinariamente suggestivo. Ci vorrebbe qui tanto tempo per commentarlo, e sarebbe solo l’inizio, ma non posso tirarmi via, non posso sottrarmi all’urgenza di dire alcune cose. “In quel tempo”: è interessante che il senso dell’incarnazione è che Dio incontri l’uomo nel suo tempo, in questo mio tempo, perché il senso dell’incarnazione è che l’Eterno diventa fattore del tempo, e siccome è infinito, diventa qualcosa di contingente, un uomo tra altri, qualcuno che io posso vedere, l’Infinito qui, l’Eterno ora. Per cui non possiamo approcciarci a questa pagina di Vangelo senza pensare a questo nostro tempo; non è possibile ascoltare la Parola di Dio dimenticando la vita, noi stessi, i problemi che abbiamo appena avuto, l’entusiasmo che ci ha animato, la speranza, l’angoscia per la guerra, la paura per le sue conseguenze, perché Dio ci raggiunge sempre in quest’oggi, e quindi dobbiamo essere ben piantati dentro il nostro presente. Non si può incontrare Dio astraendoci dalla vita, dimenticando, chiudendo gli occhi e trattenendo il respiro. Non è cristianesimo. Gesù, ieri “in quel tempo”, oggi “in questo tempo”, chiama a sé i Dodici. Che significa che chiama a sé i dodici? È il capitolo quarto di Luca, dopo la pesca miracolosa: Pietro si inginocchia e dice “Allontanati da me, che sono un peccatore!”, e Lui dice “No, vieni, ti farò pescatore di uomini”. Allora andò, e gli altri lo seguirono lasciando le barche, quasi sciogliendo o sospendendo quella società che Pietro aveva col fratello Andrea così come Giacomo e Giovanni, e andarono dietro a Lui. Ma allora erano stati già chiamati prima! Che significa il fatto che dopo tot capitoli li chiama a sé? Certo, allora aveva detto “Venite, vi farò pescatori di uomini” - in particolare diceva a Pietro - e loro lo avevano seguito e lo avevano visto operare, perché il tempo diventava pieno della sua presenza e della sua attività, tant’è che la sera - narrano tutti gli evangelisti - soprattutto dopo tante attività , dopo che lo avevano visto guarire gli infermi, predicare, accarezzare i bambini, (perché era buono, non era solo potente, era proprio buono), dicevano “Oggi abbiamo visto cose mai viste prima!”. E il tempo era lo spazio di questa sorpresa continua. Era Lui la sorpresa, per cui il giorno dopo si continuava a seguirLo perché il giorno prima era stato pieno di meraviglie, come abbiamo detto poco fa [nel salmo responsoriale, ndr]: “Annunciate tra i popoli le meraviglie del Signore!”. E quindi Lo seguivano per questa meraviglia che si confermava continuamente, che rendeva irragionevole andare via: “Ma perché dobbiamo andare via se abbiamo visto tanto?” Anche quando Giovanni parla, al capitolo 6, del vero momento di svolta nella vicenda pubblica di Gesù - dopo aver parlato dell’Eucaristia tutta la folla che lo voleva fare re si tira indietro perché quel suo linguaggio era duro: “Mangiate la mia carne, bevete il mio sangue” - allora aveva detto ai suoi: “Ma allora volete andarvene anche voi?”. Interessantissimo: Gesù non ha mai fatto come fanno i preti dopo la Cresima: “Per favore, tornate!”. Dice: “Volete andare?”. Puntava tutto sulla libertà. E Pietro dice: “Ma dove andremo lontano da Te? Abbiamo sentito parole che danno la vita, abbiamo visto la vita! Dove andremo?”. Adesso, perché li chiama a sé? Non li aveva già chiamati prima? Forse vuole dire che stavolta li chiama a sceglierLo come senso della vita, non più come l’oggetto di una meditazione o il termine di uno sguardo, ma a sceglierLo. “Li chiamò a sé”, come un marito chiama la moglie. “A sé”, cioè non a una prossimità di presenza, ma a una condivisione di vita, come è il senso del matrimonio e il senso della vocazione cristiana. Allora capirono che il senso della vita è camminare verso Colui che ci ha chiamati; il senso della vita è scegliere Colui che ci ha scelti, preferire Colui che ci preferisce, perché è Lui che chiama e loro vanno verso Colui che li ha attratti, liberamente. “Volete andarvene?”. Punta tutto su ciò che loro non riescono a cogliere, ed è talmente vero che li chiama a una condivisione, come a spartire il Suo destino. Non li chiama a fare: è interessante, perché al contrario di noi vescovi Gesù non li chiama per un disegno pastorale, tant’è che dice solo “Seguimi!”. Il contenuto vero della sequela non è un’attività, e neanche la condivisione di un progetto: è la Sua presenza. “Seguimi perché sono qui: non ti basto?”. É tanto vero che adesso li chiama a una condivisione intima e solenne (i dodici, la Chiesa, noi, il Vescovo, me, voi) che “diede loro potere e autorità su tutti i demoni e di curare le malattie”, perché loro sono nulla. “Senza di me non potete far nulla”: guai al catechista, al prete, al vescovo che pensa di poter fare qualcosa e quindi ha diritto di essere valorizzato. Noi siamo nulla. Tutto ciò che abbiamo ci viene dato nella misura in cui rispondiamo alla Sua chiamata. “Diede loro potere e autorità”: a favore dell’uomo, per strapparci dal potere del male. Prima di parlare degli esorcismi dobbiamo parlare dell’odio, della vendetta, di questi massi che opprimono il cuore e ci appesantiscono: il risentimento, la perdita del gusto del vivere, il vivere senza un perché e senza una speranza e una prospettiva… questo è il nostro tempo! E’ questo che ci rode da dentro: la perdita di una ragione sufficiente per vivere, che ci toglie la gioia e il respiro. Insieme alle malattie, perché l’uomo avverte le malattie come la privazione di qualcosa di cui ha diritto, cioè la felicità e il benessere, e questo è straordinariamente importante come segno della nostra provenienza da Dio. Non basta essere, non basta vivere: vogliamo vivere bene; nulla ci basta o ci accontenta, perché pensiamo di avere diritto - giustamente - a un di più di verità, di sanità, di bellezza, di salute. E allora gli strumenti che dà per esercitare questo potere sono: la Parola (annunciare il regno di Dio); guarire le malattie; togliere questo male che opprime il cuore, che ci toglie il gusto. Ci vuole amore all’uomo, perché li manda per liberare gli uomini! Ci vuole dimenticanza di sé per rispettare il mandato del Signore, perché qui il vero problema è che il Signore vuole che quelle persone condividano il suo amore per l’uomo, quell’amore che lo portò a svuotare sé stesso, lui che era Dio, per divenire come un servo; e vuole un gruppo di persone che condividano il potere di svuotarsi. Perché dove Dio - questa è una magnifica colletta che abbiamo recitato a settembre, se non sbaglio, ma è un insegnamento di san Tommaso - dov’è che Dio si mostra davvero onnipotente? Nella misericordia, nella sua capacità di rinunciare e di svuotarsi. Tutto quello che facciamo nella Chiesa, o è per amore degli uomini e del loro destino, o è falsato da un qualche egoismo o dalla ricerca di sé stessi. Qui Gesù, che sta fondando i Dodici, vuole che questi uomini condividano ciò che ciò che davvero può sconfiggere il male, ed è un amore che si svuota, che dilata il cuore, un amore più grande del male che incontra. E li manda, così che essi partano e girino di villaggio in villaggio, annunciando ovunque la buona novella. Non un pacchetto di dogmi o un insieme di regole, ma la gioia, una notizia che dà gioia. Un cristianesimo che rinunzia a una notizia di gioia è un cristianesimo non credibile. Perché dei ragazzi dovrebbero affidarsi, se non è per una gioia più grande di quella che garantiscono le serate alla Marina il venerdì sera? La vera sfida è compiere questo desiderio di gioia, di verità. E come fanno? Qual è il vero strumento di questa capacità di attrazione? E’ la testimonianza, tanto che Gesù dice: “Date loro testimonianza”, e li manda a due a due perché devono essere testimoni di questo amore per l’uomo, e non devono prendere altro con sé, cioè non devono affidarsi ad altre sicurezze, perché l’unica sicurezza è la certezza di essere mandati. L’unica sicurezza a cui appoggiarsi di fronte agli uomini che possono rifiutarli è che noi siamo suoi. “Questo basti”, sembra dire, perché mi danno testimonianza degli uomini a cui io passo. Questi si che mi danno testimonianza, perché gli uomini possono riconoscere che io sono attraverso la testimonianza di uomini che si appoggiano totalmente su di me. E sono lieti per questo! Qual è la nostra tentazione? E’ quella di dire: “Gesù, e anche altro”, perché siamo uomini, come se Gesù non compisse tutto ciò che è umano. E’ bellissimo questo: quale sicurezza possiamo avere se non l’essere inviati da Lui? La sua presenza è dolce, la sua sapienza è dolce, ed è questa la vera testimonianza: uomini e donne la cui unica ragione nel parlare, nel comportarsi e nel fare è un Altro. Io sono un Altro, io parlo per conto di un Altro. Non è un versetto bel segno che nella Chiesa c’è gente che continua a dire “io, io, io, io…”. Noi dovremmo dire “tu, tu, tu, tu… Lui, Lui, Lui”. E io chi sono? Solo un segnale: “guardate Lui”. Per questo non devono porsi il problema della loro sicurezza: perché il loro senso e la loro missione è di essere un segnale, e per essere un segnale - se io adesso mi volto voi per capirmi dovete assecondare il mio sguardo [volgendosi verso il Crocifisso del presbiterio, ndr], dovete capire dove guardo io. Questa è la testimonianza, questa è la vita cristiana. Questo è straordinariamente efficace, tant’è vero che dice: non cercate nelle case sicurezze dovute a contrattazioni o a scambio di favori o di beni, ma solo la pura accoglienza, perché ciò che Dio può raggiungere lo può fare solo in una vera gratuità. Uomini che accolgono, inviati che non cercano altro. Per cui la Chiesa è il luogo di questa gratuità, è questa memoria vivente del Signore che chiama e che invia, ed è il luogo in cui ci si accoglie continuamente. Direi quasi che per essere fedeli a questo brano, per lavorare bene in chiesa dobbiamo saperlo fare nei nostri vicinati., perché Gesù li manda: “Volete stare con me? Adesso andate fuori! Andate nei posti di lavoro, siate lì testimoni. Nel vostro vicinato, con chi avete litigato poco fa. Siate nei vostri ambienti testimonianza di Uno che vi ama tanto da chiamarvi e da spartire con voi il suo potere di misericordia. E nella misura in cui questa Chiesa è missionaria verso il mondo costruisce se stessa come luogo di misericordia, come memoria viva di questo Dio che cura gli uomini feriti e scaccia il male dagli uomini, che annuncia una notizia bella al cui servizio noi siamo.