CAPITOLO II
Gli anni dello splendore
Al mattino dopo, di buon’ora Gonario camminando lentamente, sentì già cantare il gallo e suonare le campane i cui rintocchi davano il ritmo alla gente. Si rianimava la vita del paese e il cantore, accompagnato dal suo inseparabile strumento, arrivava all’ingresso de Su Casteddu. Fece per girarsi ed ecco Bachisio: i due dopo essersi salutati camminarono un po’.
— Salud’e trigu…
— Salude a tie… ma cosa vuol dire salud’e trigu? E… poi mi devi dire come è andata ieri sera, tutto bene?
Gonario con occhio semichiuso ma pronto:
— Mi sento ancora mezzo ubriaco e stanco ma felice. Ah, dove eravamo rimasti… ah sì, il castello allora era una difesa in caso di invasioni dal mare per tutti i galtellinesi, che comunque hanno subito tante invasioni da Arabi, Saraceni e altri, quindi ricordati a cosa serve: per la difesa.
— Ora ho capito… ma a noi ci prenderanno senza problemi?
— Adesso sai che cosa devi fare in caso di invasione, correre al Castello perché è l’unica vera difesa. — Rispose Gonario con un sorriso.
Ma Bachisio poco convinto:
— Sarà così; ma non credi che prima si difendono loro e poi gli altri? Perché quel posto è fatto solo pro sos riccos e basta!
— Sei sempre il solito, non crescerai mai. — Replicò Gonario in tono spiazzato.
Finito questo piccolo contraddittorio i due amici camminarono con la testa bassa e nessuno dei due pronunciava parola; Gonario prese la mandola e strimpellò un canto rimato. Finita questa ballata per un’amata, per caso guardò verso l’alto: da una finestrina quadrata e socchiusa, tipica del paese, intravide la figura di una ragazza:
— Oh tu… buongiorno… — Ma come le rivolse la parola, lei chiuse di colpo senza la possibilità di dire oh! L’uomo rimase basito! I due amici continuarono a camminare e poco più avanti una donna sull’uscio di casa li salutò…
— Oh Gonàa intratte.
— Vi saluto Zia Rosa, come state? — Gonario, sorpreso fece per entrare e Zia Rosa con garbo fece un cenno:
— Sezzite, vi offro un bicchierino di rosolio fatto da me.
I due entrarono e si misero a sedere.
— Grazie Zia Rosa è un rosolio speciale il vostro, a chent’annos ande dare.
I due amici ringraziandola uscirono dalla casa.
— Era veramente buono quel rosolio e fa parte della nostra zenia, va bene; adesso riprendo a raccontare?
— Se vuoi farmi di questi regali sono sempre pronto.
Così riprese con piacere il discorso: — La crescita del nostro paese ci ha lasciato circa 26 luoghi religiosi e un bel castello dove a fianco furono costruite tante casette, che formavano un piccolo borgo; il castello fu donato fra il 1300 e il 1373 a un visconte siciliano, tale Benvenuto Grafilo, da parte del re d’Aragona.
— No appo piccattu niente? — Sospirò Bachisio.
L’altro non fu molto contento perché lo sforzo non ebbe sortito effetto e così i due amici ripresero la strada per casa fischiettando.
Era già giorno, il sole riscaldava un po’; Gonario sottopose all’amico un’idea: andare alla foce del fiume Cedrino, che fiancheggiava il
paese e sfociava nel mare di Orosei. Pertanto presero un piccolo chiattino da un amico.
— Cosa ne dici se partissimo adesso in Africa? — Disse Gonario con tono scherzoso e l’altro, sorridendo, replicò: — Ma ses maccu?
Gonario col sorriso quasi riso, prese i remi posti a destra della barca e incominciò a remare…
— Cominciamo un altro capitolo del racconto, il castello fu assediato e il castellano Pere Miro fu costretto a cedere la fortezza agli uomini di Brancaleone Doria, per il tradimento di alcuni servi. Il principale traditore fu un certo Pere Valerio.
— Ma mi vuoi dire chi era il padrone del castello? — Chiese incuriosito.
L’altro replicò nervosamente: — Spero di essere più chiaro, comandavano gli Aragonesi, ma tutti erano abilitati a vendere come tentò di fare il castellano De Gatrillo, fingendosi addirittura morto.