Grande cenone di capodanno

Febbraio 2018

Sono venti anni e tre parroci (don Gianni, don Paolo ed ora don Albino) che una fetta consistente della comunità si riunisce nei saloni sotterranei della chiesa per salutare il vecchio anno e dare il benvenuto al nuovo. Ed ogni anno al miglioramento precedente se ne aggiunge altro e non da poco, grazie all’impegno degli assidui organizzatori che tutti stimiamo ed apprezziamo. Quest’anno anche il vino ha costituito sorpresa, perché non era solo buono ma veniva presentato in bottiglie identiche di quelle riservate alle migliori etichette.  Gioacchino lo aveva individuato a Barrali e non mi è dato sapere come ci sia arrivato, di sicuro sa come trovare il meglio. E che etichette, poi, nelle bottiglie! Erano la storia dei cenoni e con essi della comunità. E quindi non solo ci si ritrovava ritratti, ma vi si ritrovavano anche quelli che erano mancati e ciò non è poco, specie rivedendosi più giovani. È chiaro segno di continuità, di presenza continua, non solo di ricordo ma di presenza: Franco, Assuntina, Gabriele…e a chi legge non mancherà altra presenza da evidenziare. Il vino è sacro, come la liturgia insegna, se utilizzato a dovere e nel cenone, appunto, lo è stato. Ha adempiuto al suo scopo, quello di accompagnare dei piatti comunitari, con lo spirito comunitario. I piatti erano comunitari, sono sempre stati comunitari, perché pur rispettando l'unico menù sono stati cucinati nelle case di ciascuno: quindi il couscous e i ravioli che richiamano la nostra cucina … antipasti che oltre agli affettati annoveravano i sottoli, i fritti della sera…l’arrosto, lo stufato di agnello con i carciofi…verdura sciolta … e poi dolci, e perfino lo spumante, rigorosamente sardo. Ci si sedeva a tavola guidati dal posto immediato, ma si sentiva, al contempo, il bisogno di stare dovunque nella multipla tavolata piena di commensali. Era, è sempre stata, una comunione di fedeli, tutti indistinti agli occhi di sé stessi e degli altri, perché tutti accomunati appunto in comunità. Don Albino, nella migliore tradizione dei parroci della nostra parrocchia, non si è risparmiato, sin dalla doverosa iniziale preghiera di ringraziamento. La sua abituale eleganza veniva stavolta arricchita da una mantellina rossa, non del rosso episcopale, né vicino al granata cardinalizio, ma del rosso a cavallo del passaggio di anno. Il rosso raccomandato per tale ricorrenza veniva genuflesso all’immagine e simbolo del portatore. E don Albino ha anche ballato, dimostrando di unire alla sua poderosa voce tenorile, grande destrezza, ritmo e gestualità nei balli, anche i più prosaici. E Lucio, che oltre alla documentazione storica fotografica, ha anche svolto egregiamente il ruolo di spalla al parroco, dimostrava grande abilità nell’inserire la musica appropriata ed accompagnarla con le immagini appropriate. Disponevamo, infatti, anche di uno schermo, di molteplice, utile ed egregio utilizzo in parrocchia, schermo e proiettore di immagini del nostro passato. E siccome i filmati ci riproponevano anche i precedenti capodanni, ci si ritrovava a non dimenticare quanto fatto, quindi a riproporlo e a migliorarlo. Ed è così che il finale non poteva dirsi tale senza una sequenza spassosa di danze, comunitarie anch’esse, cui non si sottraeva don Albino, che tra un salto ed una giravolta, trovava anche il tempo di partecipare la sua allegria a quanti più commensali incocciava. C’era chi danzava e chi continuava seduto, avvinto in qualche discorso pregnante o ricordo pressante. E la danza attorno dava ornamento al discorrere sereno, pacato, intenso dei commensali indefessi, forse non usi al ballo ma adusi alla mensa. E questa continuava a rivelarsi sempre più varia e ricca, dai dolci, alla frutta, quella fresca, anche questa di alberi parrocchiani, e quella secca. E non poteva essere altrimenti. Luciana aveva avvertito le signore della comunità note per le loro capacità culinarie che la presenza sarebbe stata di un centinaio di persone e che molti sarebbero stati i piatti e che tutti erano attesi, nella migliore tradizione dell’evento. E, mentre nello schermo continuavano le immagini, nel tavolo centrale don Albino e la spalla iniziavano la tombolata. Non una tombolata qualsiasi ma una multilingue, perché, anche se solo esso, il numero chiamato veniva tradotto, in sequenza, in tedesco, siculo, laziale e svariate versioni del nostro sardo. E la serata riservava ancora delle sorprese. A tutti era stata affissa, all’inizio della serata, una coccarda rigorosamente di tessuto rosso e tutti la portavamo con orgoglio e sensazione di possesso, senza sapere quanto di sorpresa ci avrebbe riservato. Ma Luciana ci invitava ad osservare il retro della stessa e leggervi se ci fosse un nome. Io non trovavo scritto niente nella mia ma, seduto di fronte a me, Gianfranco esultava leggendo Gioacchino nella sua e, alzatosi dal tavolo (era uno degli indefessi della mensa!) andava alla ricerca di Gioacchino, ma questi lo avvertiva che di altro Gioacchino trattavasi, ossia del padre della Madonna e che, quindi, doveva andare alla ricerca di chi avesse trovato scritto Anna nella sua coccarda. Mariano forte di questi chiarimenti andava alla ricerca di Ginevra, avendo trovato scritto Lancillotto nella sua coccarda. Tutte le coccarde venivano rivoltate alla ricerca della parola magica e chi non la trovava si univa nella esultazione al vicino fortunato e, felice ed appagato, contribuiva alla ricerca del o della partner ricercata. E non poteva mancare un’ulteriore sorpresa, una gara bella e buona, per i presunti grandi intenditori di liquori. La spalla infieriva in maniera simpatica ed elegante mettendo a dura prova la capacità gustatoria dei parrocchiani. Rita mi porgeva il liquore, mentre continuavo seduto al mio posto con a fronte Gianfranco, anch’egli di nuovo assiso, reduce dall’incontro con Ginevra, mentre rigirava tra le mani il regalo ricordo che sembrava uno scapolare, chissà poi perché. Il colore del liquore rimandava al verde smeraldo molto impuro, al tasto non era denso, è particolarmente dolce, ma, direi, di sapore serio di liquore serio. Mi è sfuggito il vincitore o forse non ci è stato. Non era semplice individuare la miscela inusitata, inimmaginabile di fogli di ulivo, scorza di arancio e di limone! Era Lucio, sempre la spalla, che ne recitava la formula, confutando la mia ipotesi di infuso alcolico di Maria Luisa, ossia la citronelle. Un'altra sorpresa ci aspettava, il dono questa volta offerto da Gioachino alla parrocchia: una bottiglia di vino del 1985 messa all'asta nel 1986 in occasione della prima festa del nostro patrono S. Luca. Grande iniziativa, grande premio, meraviglioso sistema per riportarci orgogliosi al mirabile nostro trascorso parrocchiale! Arrivava quindi la mezzanotte, si sollevavano i calici e dopo di essi ci si scambiava un abbraccio di compiacimento per essersi ritrovati di nuovo e non mancava ovviamente il ricordo degli assenti, ma sempre presenti nello spirito della nostra comunità.

Ignazio Pinna